Chimere

“Mai uno potrà essere equivalente ai molti” (Sofocle, Edipo Re, 430-420 a.C.), oppure 

è vero il contrario? Che per tutti è impossibile essere soltanto uno? Non ci sarà niente 

di strano, come affermava Platone, se uno dimostrerà che io stesso, sono uno e molti.

Il problema della duplicità dell’uno si presenta a più riprese in questa carrellata di 

presenze multiple, combinazioni di vite, Chimere formate da parti animali, umane, 

vegetali. Esseri mostruosi in carne e ossa, tridimensionali, reali ma, allo stesso tempo, quanto di più lontano dalla realtà.

Un miscuglio eterogeneo di elementi che in natura non avrebbero mai potuto essere legati fra loro, quindi illusori, irrealizzabili, promotori di una falsa idea, vana 

immaginazione.

Queste fotogeniche figure che mi sono apparse in sogno, ma figlie della veglia, non 

si prestano certamente a vivere con una sola parte, ma sempre con l’una e l’altra cosa insieme nella disperata identità (come la sfinge) risolutrice di enigmi: Fusione, 

separazione, identità, alterità, essere, divenire, come può uno essere sempre identico 

a sé stesso e cambiare per essere molti?

Come può generarsi una cosa dal diverso?

Notte, giorno, vita, morte, padre, figlio sono tutte figure figlie di Dioniso, Dio della 

contraddizione, in cui tutto ciò è vissuto insieme senza prima né dopo e con pienezza sconvolgente in ogni estremo.

Per questo ci rivolgiamo al mistero dell’immagine, attraverso l’indecifrabile bellezza 

del mondo delle cose sensibili, al senso e al non senso da condividere.

Il desiderio sta alla base dell’immaginazione, pertanto l’uomo adulto attraverso 

il desiderio può ritrovare qualcosa di sé, qualcosa che ha bisogno di ri-sentire nella 

consapevolezza di essere e di essere stati bambini, che il mondo desiderato risulta 

più reale di quello che passivamente accettiamo.

Il visionario e il bambino garantiscono, comunque, un’alternativa all’adeguamento 

dei dati di fatto.

Queste figure dell’anima, tracciate con un segno mono-tono, regolare, lento aprono la strada a una metamorfosi metaforica sia fisica che psicologica, intimamente collegata con l’avventura, il rischio e l’eccitazione della separazione, dell’abbandono, della 

dispersione.

La metamorfosi non è mai un’esperienza indolore, questi esseri mostruosi privi di 

educazione, di pedagogia, cresciuti soltanto facendosi del male, rischiando e soffrendo, spesso morendo non sono altro che “banali condomini” alloggiati dentro di noi.

Può capitare che, talvolta, uno di loro suoni il tuo campanello per chiederti il sale 

e lo zucchero.

Sono figure comunque, transpersonali, non c’è niente di narcisisticamente personale 

in loro che io ritrovo in me stesso ed è per questo che spesso “mi sento fuori di me, 

e sono in pensiero, perché non mi vedo tornare. (Luigi Tenco)”

Alessandro Baldanzi, Firenze maggio 2020