Pontormo alabardiere

Pontormo

Scena: una stanza piena di oggetti di ogni genere affastellati ovunque: libri, cianfrusalie, tele e pennelli, un camino, pentole, una gallina che si muove qua e là, un tavolo con sopra un manoscritto ed una penna d’oca. Una antica porta con lo spioncino mette in comunicazione la stanza con l’esterno.

Gli scuri sono semiabbassati.

Siamo nella casa, che è anche l’atelier, di Jacopo Carucci detto Pontormo.

Pontormo, seduto a un tavolo, sta scrivendo su di un grosso registro:

Pontormo: Nell’anno 1555, per la luna che cominciò di marzo e durò insino al dì 21 d’aprile, nacquero infermità pestifere che amazorno di molti huomini regolati e buoni. Si sentiva un freddo velenoso sordo combattere con l’aria della stagione, tal che io sono stato con gran paura.

Si sente bussare alla porta.

Il Bronzino (da fuori): Jacopo! Ci sei Jacopo? Jacopo. Pontormo (continuando a scrivere): Onde mi rinchiusi in codesta torre con abondanza di cibo. Et presto fui sazio di compagnia e contento di non aver tra’ piedi certi amici che mi domandavano favori.

Bronzino: Jacopo, Jacopino mio! Jacopo. E dai, apri.

Passa una gallina.

Pontormo (senza muoversi): in domenica mattina desinai pollo e vitella e mi sentii bene. La sera cenai un poco di carne secca arosto che havevo sete e lunedì sera cenai con un cavolo e uno pesce d’uovo.

Bronzino (bussando come se volesse buttar giù la porta): Jacopo, lo so che sei là dentro, Jacopo.

Pontormo. Diec’anni che lavoro a San Lorenzo. Venne il Riccio con que’ libri eretici, a convincermi, diceva che ero meglio di Michelangelo. E intanto quel ruffiano del Bronzino a corte, dal duca. Pittore di corte dice: principi e principesse, principini li fa tutti belli, puliti, rubicondi, con l’abitino di velluto e il colletto di raso. Guadagna quel che i’ vole. Eh ma così è troppo facile. Miserere mei Dei, a’ tempi di fra Girolamo i fanciulli l’avrebbero preso a sassate. Ma passerà questa peste, oh se passerà. Anche se ormai non ci si pensa più alla Repubblica. L’ultima volta fu quando feci l’Alabardiere, e sono trent’anni ormai, passati nel tempo d’un amen.

Bronzino: Jacopo, insomma basta. Va beh, fai come ti pare. Ci si sente.

Pontormo: Domenica fu picchiato alla porta da Bronzino, e poi il dì da Daniello; non so quello che si volessino, ma non li apersi.

[Tra il 1554 e il 1556, poco prima di morire, il Pontormo stese un diario manoscritto attualmente conservato alla Biblioteca Nazionale di Firenze. Gli storici si sono interrogati sulla natura di questo documento, senza giungere a conclusioni certe. Nello stesso periodo attendeva a un ciclo di affreschi per la chiesa di San Lorenzo, oggi andati perduti, ispirati dal maggiordomo della corte medicea Gianfrancesco Riccio e, pare, di contenuto ereticale. Questo testo mescola citazioni dal diario e inserti di fantasia].

Ludwig Zaller, Viareggio 21 marzo 2020