Covid41

Serve tempo

Ho la fortuna di vivere questo periodo di isolamento nella campagna toscana e di vedere dalla vetrata del mio studio il procedere lento ma sicuro della campagna che si rigenera. E la notte guardo il ritmo della luna e dei pianeti. Forse è la prima volta in quasi 63 anni di vita che posso osservare quotidianamente la natura. Il tempo della natura è molto più inesorabile di quello che scandisce la vita di noi piccoli uomini, oggi in difficoltà.

Questa emergenza ci ha costretto a fermarci, pericolosamente al margine dell'abisso. Forse a tempo. Molte persone fragili se ne stanno andando ingiustamente, vittime innocenti delle distorsioni che il nostro sistema economico/sociale ha prodotto. All'alba degli anni Venti del nuovo secolo l'uomo è al culmine della sua mutazione: violentemente oggi siamo costretti a renderci conto di essere solo apparentemente padroni dell'ambiente che ci circonda.

Dal punto di vista ecologico, economico, culturale siamo immersi in uno sviluppo senza progresso, come diceva Pasolini e, dopo di lui, oggi quei pochi politici e intellettuali che ancora studiano e riflettono. Di giorno in giorno mi rendo conto che siamo nel pieno di un'annunciata mutazione antropologica nella quale non sono in gioco sfumature ma i valori primari dell'esistenza umana, della nostra socialità. Abbiamo costruito un sistema di vita straordinariamente ricco di conoscenze, scambi, viaggi, relazioni, nuove tecnologie e - allo stesso tempo - abbiamo alacremente operato per distruggere il pianeta, la Terra di cui siamo figli.

Penso al cibo che mangiamo, all'aria che respiriamo, penso ai mari soffocati dalla plastica, penso agli allevamenti intensivi di poveri animali ammassati in attesa del macello, penso all'agricoltura industrializzata sempre più ricca di veleni, penso alle fabbriche dove il lavoro non protegge la salute dei lavoratori e dei loro familiari (di recente abbiamo recitato al Teatro di Tatà accanto all'Ilva di Taranto). Penso agli squilibri fra i popoli, penso alle sempre più profonde ingiustizie sociali. E molto penso al futuro dei nostri giovani. Siamo cresciuti nei consumi, nei bisogni indotti ma non stiamo meglio, non siamo più felici, non siamo in armonia con la natura (già di per sé così dura ma necessaria).

“E quella cosa fatta d'oro e sudore che abbiamo costruita in questa città (e pareva che avessimo innalzato l'edificio più grande del mondo) è, come se, per sbaglio o per risparmio, il materiale da costruzione fosse stato merda di cani, in modo che fosse difficile, e molto, abitarci”. Un poeta della scena come Bertolt Brecht - che ho sempre amato - nell'opera Santa Giovanna dei Macelli così fa parlare il ricco industriale Mauler in una delle sue ricorrenti riflessioni sul sistema di produzione capitalista (di cui è geniale campione). È un testo del 1931 in cui Brecht racconta - solo due anni dopo la crisi economica del 1929 - le violente distorsioni del capitalismo, nelle quali tutti siamo obbligati a vivere in fondo solo da un secolo. Solo due anni dopo questo testo Hitler prenderà il potere e provocherà i macelli che sappiamo.

Per grottesca analogia penso poi alla pochezza di gran parte della classe dirigente del pianeta. Paesi determinanti come gli Usa, la Gran Bretagna, il Brasile sono guidati da incoscienti avventurieri, altri (Russia, Turchia) da grevi dittatori o aspiranti tali, altri ancora (in primo luogo la Cina) da regimi autoritari. Non stiamo parlando solo del futuro delle nostre vite e della nostra gioventù è in crisi la nostra stessa libertà, libertà di pensare, parlare, viaggiare, confrontarsi. Questi sono gesti possibili solo in democrazia. Oggi è in gioco la salute dei popoli ma anche la salute democratica. Dobbiamo prendere posizione, uscire dai nostri egoismi, dai nostri narcisismi, dalle nostre paure. Questo dovrebbero fare (e molti già lo fanno) tutti i cittadini sensibili al bene comune: dai funzionari pubblici ai docenti, dagli imprenditori ai politici, dai professionisti ai commercianti, dagli operai agli artisti.

Dovevamo fermarci prima dell'abisso; e riflettere su cosa sia oggi il bene comune, prendere tempo, trovare dentro di noi la lucidità per reagire, ribellarsi, non accettare di essere considerati numeri, animali solo consumatori. Bisogna, con pietà quotidiana, riprendere il filo di un racconto interrotto; ricucire - col dovuto tempo - i fili della memoria. Rimettersi a raccontare significa ricreare la vita. Niente oggi può essere dato per scontato. Riandare al recente passato per comprendere il nostro presente è l'unica ecologia possibile per la nostra mente turbata; l'unica azione che ci possa far riprendere la costruzione di un futuro più sostenibile per tutti gli esseri viventi e per il pianeta che chiamiamo Terra.

Gianfranco Pedullà, Montespertoli (FI) 14 aprile 2020