Virus di pancia

Nei giorni in cui veniva chiusa la Lombardia è morto mio nonno. Era anziano, aveva 97 anni e posso dire di non averlo mai conosciuto perché non l'ho mai frequentato. Quando l'Italia era presa dal panico generale per l'avanzare del Virus, io andavo a un funerale, in Piemonte attraversando la Lombardia su di una autostrada deserta, chiacchierando amabilmente con mia sorella, cercando di ricostruire un rapporto tra noi e i nostri fratelli, i nostri rispettivi nipoti. Mi viene la diarrea.

Qualche giorno dopo vengo però rapito da una anomala stitichezza, viene chiusa l'Italia intera e il nostro primo ministro comincia col propinare decreti, pronto uno, via l'altro. Nel giro di poco siamo ritrovati tutti blindati in casa. Mi torna la diarrea.

Vado nell'orto a vangare per stancare il fisico e pulire i pensieri, un insetto di merda mi punge il braccio e il collo e inizio a gonfiare come un pallone rosso, devo andare in farmacia e non è cosa semplice come sappiamo. Il dott. per la prima volta via telefono, comodissimo, mi prescrive antibiotici e cortisone per 6 giorni. La diarrea continua più felice di prima.

L'ansia è quasi insopportabile, anche se mi ammazzo di fatica nell'orto e faccio respirazione e meditazione, continuo a cacare male, sono molto molto preoccupato per tutta la situazione.

Litigo con la mia compagna, e capisco che sto perdendo lucidità. Sarà la diarrea o gli antibiotici o tutte e due insieme, ma insomma, mi girano i coglioni come due reattori.

I miei lavori nell'arte seppur pochi, una piccola mostra e quattro concerti, saltano senza neanche una telefonata, è chiaro che non se ne farà più di un cazzo. Avevo passato gli ultimi due mesi a scrivere registrare e produrre un disco che volevo presentare alla mostra e nella primavera fare i concerti. Tutto mi sembra inutile, soffro di mancanza di progettazione, non vedo uno sbocco e muoio sommerso dalla mia diarrea, smetto di dormire e sento che l'aria comincia a mancare.

La mia preoccupazione maggiore è data dal fatto che ho due figli giovani, una di quattordici e uno di dieci, ai quali è crollato tutto il mondo che avevano fuori da questa casa, in un giorno solo, e non c'è didattica a distanza, computer o telefono che possano restituir loro, anche solo un surrogato della felicita di contatto vero, perché ci siamo battuti affinché usassero poco il pc e il telefono e che si costruissero una rete di amicizie vere, in carne ed ossa e più profonde possibili. Oggi li stiamo insegnando a mantenerle quelle amicizie, anche a distanza, anche attraverso un telefono. Non voglio che si sentano soli come mi sono sentito solo io alla loro età.

Facciamo fatica come tutti, ma mi rendo conto che io sto facendo più fatica di loro. Chiedo al medico di interrompere gli antibiotici perché ormai la diarrea mi pare insanabile, acconsente con un messaggino, che meraviglia, erano quindici anni che gli chiedevo di comunicare così.

Mi spremo un limone in bocca, apro una bottiglia di Chianti Rufina, e decido di finire un muro a secco che ho cominciato un anno fa. Mi ammazzo di lavoro e la notte sono troppo distrutto per dormire bene, ma le endorfine mi mettono in condizione di pensare con un po' di positività in più. La mattina cago meglio, non benissimo ma meglio, pranzo con gusto perché sollevare sassi fa venire appetito, sento amici disperati per i figli chiusi in casa da giorni, e mi sento un privilegiato del cazzo.

Noi con la nostra casa nel bosco, viviamo una quarantena da signori, e non nascondo che la cosa non mi lascia indifferente, farei di tutto per essere più solidale con chi non può uscire neanche sul balcone. Il rovescio della medaglia è una amplificazione estrema della solitudine, un silenzio mai ascoltato prima e un isolamento nell'isolamento. Non passa una macchina da giorni e quando passa mi si drizzano le orecchie per capire che succede. Sento il treno in fondo valle, e qualche cane che abbaia al tramonto. Poi niente. Questo vuoto così grande devi saperlo sostenere, so di persone che nei rifugi di montagna vengono sorpresi dal panico del nulla, la magia della natura silenziosa.

Ma oggi è diverso, oggi ci si sente in una brutta fiaba malvagia, non bastano i colori della primavera che si risveglia a dare conforto.

La sera, ritrovo pace con la mia compagna, e riscopro la gioia di fare l'amore, ma è diverso si è incrinato qualche cosa, non tra di noi, non dentro di noi, ma fuori. Laggiù nelle città in quello che prima era il mondo dal quale eravamo fuggiti, oggi si è spezzato.

Noi siamo quel che il mondo ci riconosce di essere, e se il mondo smettesse di riconoscerci? non saremmo più nulla? E cosa ci sta succedendo davvero in questo momento? Era davvero il mondo che ci assicurava un ruolo e una posizione in questa piccola società di merda? Amore mio abbiamo ancora voglia di vivere in questo modo? Aspettiamo ancora che la felicità ci prenda per mano, o siamo noi che dobbiamo prendere per mano i nostri figli e scagliarli più lontano possibile da questa infelicità? Perchè quando sento al telefono i miei amici parliamo di massimi sistemi, di educazione, di scuola, di didattica? Cosa cazzo c'entra tutto questo con un Virus di merda? Perché prima non parlavamo così a fondo di tutto cio? E poi altre mille domande. Quando cazzo devo piantare le patate?

La diarrea va migliorando, l'orto produce broccoli e i ragazzi sembrano farsene una ragione, ogni tanto scappano con le biciclette ma poi tornano dopo poco, si costruiscono una casetta nel bosco e ci fanno pure un piccolo orticello dove piantano pungitopo, gladioli e cipolline selvatiche. Sono preoccupatissimi e io non so come aiutarli, devono imparare che gli adulti non hanno sempre la soluzione. Mi dispiace tantissimo per loro. La grande si accanisce contro il primo ministro, il piccolo non si rende conto ma sta incazzato come un gorilla che ha appena preso un morso nelle palle. Allora mi incazzo pure io, con loro, poveracci, gli faccio presente che non devono scassare troppo la minchia che c'è gente chiusa a Centocelle o in qualche assurdo palazzo di una qualsiasi periferia di merda, e che non possono neanche fare le scale per uscire, e loro sono solo dei... vabbè lasciamo perdere. Ma che colpa hanno loro? Siamo noi, e solo noi i responsabili.

Vorrei cagare bene ma ancora non ci riesco. Arrivano le ultime misure del governo, quelle più restrittive, quelle punitive che fanno paura davvero. Il contagio è alle stelle e muore un sacco di gente, i militari portano via le bare da Bergamo. Cordoglio e shock generale. Ai ragazzi non dico un cazzo, ma loro sanno tutto, del resto scopro che mia figlia è ben più abile di me a cercare informazioni.

Ma io una domanda me la faccio. Perché i mezzi militari? Questi tristi convogli potevano essere civili e non militari e questa è una scelta di qualcuno. Ma guarda cosa cazzo vado a pensare in un momento come questo. E così adesso vero? Non si può più pensare a niente di diverso che vieni immediatamente accusato di complottismo, ci si sente subito cretini e poi con la coda tra le gambe torni al tuo posto, alcuni sostengono che chi cerca delle spiegazioni alternative è incapace di assumersi la responsabilità della realtà.

Ma allora perché nei numeri di questa tragedia non c'è niente che mi convince? Davvero questi numeri snocciolati come un bollettino della guerra di sto cazzo sono veri? inconfutabili? perfetti?

Il mio corpo mi dice una cosa che conosco bene. Ma per spiegarla devo fare un passo indietro.

Ero in preda a una delle felicità più grandi dei miei 7 anni, avevo fatto valere il mio privilegio di bianco in una comunità di africani e avevo sfoderato ben cinquemila Zaire (moneta in corso all'epoca nella RdC) per comprare un camion fatto di fil di ferro a un ragazzo che se lo portava in giro col sorriso stampato sulla faccia. Ero felice ma non sapevo che sarebbe durata poco. Una volta arrivato a casa mentre giocavo e ammiravo beato il mio camion vengo raggiunto da un gruppetto ben nutrito di ragazzi più grandi di me, decisamente più grandi me. Non hanno delle belle facce, rivolevano indietro il camion, e dovevo stare zitto, muto e dar loro tanti soldi. Chiamo mio padre, esigo giustizia. Mio padre capisce che non è assolutamente il caso creare ulteriore tensione e si inerpica in uno scomposto tentativo di sdrammatizzare, offre da bere senza successo, e alla fine il camion l'ho dovuto restituire e per placare gli animi è volata via una cifra che allora a me sembrava enorme di ben settantamila Zaire. Chissà magari era il corrispettivo dei nostri 5 euro, lo Zaire viveva una svalutazione tale che non valeva una cippa. Comunque era più o meno lo stipendio di una settimana per un muratore professionista. Ora è chiaro che fosse tutto preparato a tavolino. Quella accozzaglia di personaggi poco raccomandabili mi avevano preso di mira, sapevano che mi piacevano le macchine di fil di ferro e me ne avevano sbattuta una sotto il naso, mi avevano offerto di comprarla per poco, per poi accusarmi, davanti a mio padre, di averla rubata. Era gente strana, gli stessi che l'anno dopo inseguivano famiglie intere col machete per farli a pezzi. Ho perso un sacco di amici gli anni successivi, un sacco di lettere che non arrivavano più.

Ecco perché mio padre cercava di sdrammatizzare e pagò quella cifra assurda. Ma io che cazzo ne capivo? Avevo otto anni. Rimasi come un coglione e provai una brutta sensazione tra lo stomaco e il diaframma che aveva frantumato la stima che avevo di me. Durò per giorni quella sensazione, e in più percepivo di essere stato travolto da una piccola conseguenza, di qualche cosa di molto più grande, enorme, che non riuscivo a definire, mi lasciava impotente.

Oggi provo la stessa cosa, la stessa sensazione.

Mi sento travolto da una piccola conseguenza di qualche cosa di molto più grande, enorme, che non riesco a definire. Ho la certezza che qualcuno ne stia approfittando. Qualcuno si sta impadronendo della nostra macchinina di fil di ferro e della nostra felicità. Non so ancora chi, e non so come, ma questo dubbio me lo racconta il mio corpo.

Da un po' di giorni insieme a una costante tensione irrazionale, si è aggiunta una rabbia oscura. Fottutamente incazzato per la mancanza di trasparenza, per la manipolazione vistosa avvenuta a livello di media, social, televisioni, radio e stampa. La diarrea vorrebbe ricominciare ma ormai i batteri sani del mio intesino hanno avuto la meglio e un dieta equilibrata fa il resto, ma vi assicuro che ci sto mettendo tutto me stesso per non farmi diagnosticare tra due mesi una colite cronica.

Vado a letto sveglio, dormo bene dalle 7 alle 9 e poi ho voglia di uscire andare al mare evadere da questa situazione, ma prendo la vanga e mi ammazzo nell'orto, cerco una verità nelle zolle o nei sassi. Cerco di stancare il fisico e la mente così da essere più lucido ma non ci riesco. Siamo preoccupati per i nostri figli.

Speriamo che non venga la diarrea anche a loro.

Tonio Manasca, Pelago 24 marzo 2020